Ruolo degli inibitori di PCSK9 nel ridurre i livelli di colesterolo LDL dopo infarto miocardico e ictus


Lo studio Da Vinci ha coinvolto ospedali di 18 Nazioni inclusa l'Italia e ha arruolato circa 6000 pazienti, 300 dei quali italiani. Circa la metà dei pazienti arruolati erano in prevenzione primaria, i restanti erano in prevenzione secondaria e tutti erano in terapia ipolipemizzante.

Principale obiettivo dello studio era valutare le modalità con cui erano trattati i pazienti e se la terapia in atto consentisse loro di raggiungere i target indicati dalle Lineeguida.

La maggioranza dei pazienti aveva avuto un episodio cardiovascolare: un infarto miocardico nel 22% dei casi e un ictus nel 40% circa dei casi, mentre poco meno del 40% era rappresentato da pazienti con un’arteriopatia periferica.
L'età media era di 68 anni e nel 40% dei casi i pazienti soffrivano anche di diabete mellito.
In base ai dati per il calcolo del rischio, l’82% aveva una probabilità superiore al 20% di andare incontro a un nuovo evento cardiovascolare entro 10 anni.

Nella maggior parte dei casi i pazienti erano in terapia con statine, anche se solo il 37% con statine ad alta intensità; nel 9% dei casi la statina era associata a Ezetimibe, e una minima percentuale di pazienti, l’1%, assumeva un inibitore del PCSK9.

Solo il 39% dei pazienti in prevenzione secondaria ha raggiunto il target delle Lineeguida del 2016, vale a dire 70 mg/dl.
Se poi si considerano le nuove indicazioni del 2019, solo il 18% ha raggiunto un valore inferiore ai 55 mg/dl.

I pazienti in terapia con un inibitore PCSK9 hanno raggiunto i target con maggior frequenza, arrivando al target delle Lineeguida del 2016 nel 67% dei casi e al target 2019 nel 58%, rispetto ai pazienti in terapia con statine più Ezetimibe che si sono fermati al 54% rispetto al target di 70 mg/dl e solo al 20% nel caso del target 55 mg/dl. ( Xagena_2020 )

Fonte: ESC ( European Society of Cardiology ) Congress, 2020

Xagena_Medicina_2020